22 novembre 2013 
(h. 18.00 e h. 21.15)

Un giorno devi andare
di Giorgio Diritti



Con Jasmine Trinca, Anne Alvaro, Pia Engleberth, Sonia Gessner
Italia, 2013
Durata: 110'
Drammatico









Augusta è fuggita dall'Italia per combattere il suo dolore e ritrovare se stessa. Seguendo l'amica suor Franca è giunta in Amazzonia, per confrontarsi con un'esperienza lontanissima da quella della vita cui è abituata. Ma ben presto capisce che il “professionismo” religioso non fa per lei e cambia strada. Sarà solo la prima di varie svolte nella perenne ricerca del proprio equilibrio. Nel frattempo, in Italia, la madre l'attende preoccupata...

Per certi versi è il film che Terrence Malick non riesce più a fare: paragone forse eccessivo, d'accordo, ma che denota un pensare alto e altro ormai raro nel cinema italiano. L'aspetto più interessante è questa poesia della quotidianità, che non diventa mai né cifra stilistica principale, né impedimento alla sperimentazione. Al contrario, il regista si lascia ogni tanto abbandonare a qualche elaborazione visiva molto interessante, che crea un efficace contrappunto rispetto al naturalismo della fotografia. Abbiamo così vari momenti che si intrecciano lungo il racconto e che di volta in volta sembrano riflettere varie caratteristiche del cinema di questo anomalo autore: la concretezza di Ermanno Olmi (alla cui scuola Diritti si è formato), l'afflato libertario di un cinema non necessariamente italiano nella forma, e una tendenza alla narrazione che sta addosso ai personaggi, più direttamente vicina ai canoni della nostra industria.
Al centro di tutto, in fondo, c'è una protagonista in cerca di se stessa e che per questo agevola l'indeterminatezza ricercata dal progetto: una donna che, fra le righe, capiamo essere fuggita dopo aver appreso di non poter generare figli, ma che alle spalle ha pure la perdita di un padre che sembra averla particolarmente segnata. Diritti però cerca di dribblare le trappole della psicologia spicciola, lasciando questi particolari sullo sfondo, concentrandosi invece sui contrasti che Augusta genera nell'immediato, con la sua presenza “aliena” in uno spazio che lo spettatore percepirà comunque come eccezionale (nel senso vero e proprio di eccezione).
Su tutto domina in particolare una tendenza al nomadismo, al continuo spostarsi di luogo in luogo: ogni qual volta sembra infatti che Augusta abbia trovato la sua dimensione, ecco che qualcosa la spinge a fuggire ancora. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di una dinamica del rimpiattino, perché il motivo che, al fondo, fa sempre continuare il viaggio è che ogni volta la protagonista scopre di non essersi riuscita a lasciare il proprio mondo “occidentalizzato” alle spalle.

(Davide Di Giorgio, da Il nido di Rodan)



































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