3 maggio


solo ore 18.00
OffiCinema
"Felliniana"
Amarcord a 20 anni 
dalla morte 
di Federico Fellini

  


«Regista cinematografico italiano (Rimini 1920 - Roma 1993). Regista tra i più significativi della storia del cinema, che ha attraversato con tratti di indiscutibile ed esemplare leggerezza, grandissimo orchestratore di immagini, di visioni e di ritmi narrativi, si è rivelato maestro nel dare corpo alla passione di sogno che invade lo schermo cinematografico, dove i confini dell'immaginazione vanno a coincidere con quelli della realtà senza tuttavia mai essere condizionati da questa. Premiato con cinque premi Oscar: nel 1957 per La strada (1954), nel 1958 per Le notti di Cabiria (1957), nel 1964 per 8 ¹/² (1963), nel 1976 per Amarcord (1973) e nel 1993 con un Oscar alla carriera.

Vita e Opere
Dapprima giornalista e disegnatore umoristico, poi sceneggiatore (in collab.: Roma città aperta, 1945; Paisà, 1946; Senza pietà, 1947; In nome della legge, 1949; Il mulino del Po, 1949; Francesco giullare di Dio, 1950; Il cammino della speranza, 1950; Il brigante di Tacca del Lupo, 1952; Europa 51, 1952), esordì nella regia nel 1950 dirigendo, in collab. con A. Lattuada, Luci del varietà. Con Lo sceicco bianco (1952), I vitelloni (1953) e soprattutto La strada (1954) e Il bidone (1955), che gli procurarono un ampio successo internazionale, F. dava un suo originale contributo allo svolgimento del neorealismo; le inedite soluzioni espressive, le suggestioni oniriche e le ossessioni autobiografiche, presenti in questi film, sono il primo annuncio del formarsi di quell'universo immaginario, destinato a diventare proverbiale e inconfondibile, di cui sarebbero stati eloquente testimonianza Le notti di Cabiria (1957), La dolce vita (1959), cronaca insuperata dell'Italia alle soglie degli anni Sessanta, 8 e 1/2 (1963), Giulietta degli spiriti (1965), Fellini Satyricon (1969), I clowns (1970), Roma (1972) e Amarcord (1973), forse l'apogeo dell'autobiografismo felliniano, della sua memoria favolosa e rivelatrice: film nei quali il diffuso e ambiguo erotismo e il gusto del meraviglioso, la persistenza di una quasi ancestrale appartenenza alla provincia e l'attenzione ai cambiamenti della società, l'inclinazione alla satira e la costante riflessione del cinema su sé stesso costituiscono in ugual misura gli elementi di una poetica tra le più coerenti e originali del cinema contemporaneo. Con le opere successive (Il Casanova di Federico Fellini, 1976; Prova d'orchestra, 1979; La città delle donne, 1979; E la nave va, 1983; Ginger e Fred, 1986; Intervista, 1987; La voce della luna, 1990) le allegorie del presente si fanno più angosciate, e si accentua la tendenza del racconto all'apologo e dello stile a un certo manierismo. Premio Oscar alla carriera nel 1993». [Enciclopedia Treccani]






Federico Fellini: il girotondo della vita 
« “L'unico vero realista è il visionario”, sosteneva Federico Fellini. E il regista riminese, che il 22 gennaio scorso avrebbe compiuto 90 anni, lo ha mostrato in ogni suo film: qui i ricordi si mescolano senza sosta a sogni o incubi, le atmosfere surreali fanno da sfondo alle contraddizioni del mondo piccolo-borghese da cui proviene, mentre la macchina da presa indaga senza timore le ambizioni, i pudori e le pulsioni erotiche dell’epoca. L’arte di Federico Fellini ha amplificato vizi e virtù del suo tempo, li ha catturati e riproposti con forza a un mondo sbadato, che non aveva avuto ancora il tempo e il coraggio di riflettere sui cambiamenti in atto. Il torpore moralista degli anni del dopoguerra finisce quando quel ragazzo, che si era trasferito a 19 anni dalla provincia alla capitale, inizia a fare il regista. Per lui solo applausi, premi, clamore e omaggi da ogni parte del mondo, dall’America che gli ha attribuito ben 5 premi Oscar (4 come miglior film straniero e uno alla carriera) al Giappone dove ha spopolato con il suo “Casanova”.
Strana storia quella di Fellini, arrivato a Roma nel 1939 con la scusa di frequentare l’università (si iscrisse a giurisprudenza ma non sostenne mai neanche un esame), ma con l’intenzione di fare il giornalista. Già da piccolo aveva mostrato la sua passione per il mondo del grottesco e del magico, del comico e dell’assurdo, scappando da casa per andare a lavorare in un circo. Una delle tante vicende, forse vere forse no, che aumentano il fascino allegorico del regista. Quando si trasferisce nella capitale, Fellini ha già mostrato di avere uno spiccato talento per il disegno, ottenendo varie collaborazioni come vignettista con la Domenica del Corriere e con il settimanale fiorentino 420. Roma gli porta fortuna: lo cattura in un vortice di occasioni, conoscenze e incontri. Presto si trova a frequentare il mondo dell’avanspettacolo, stringe amicizia con Aldo Fabrizi, inizia a scrivere gag e copioni per la radio. È qui che nel 1943 conosce Giulietta Masina, interprete di una commedia radiofonica scritta proprio da Fellini: i due si sposano quello stesso anno. Sarà un’unione solida e duratura, un amore totalizzante che sconfigge a suon di ciak, riflettori e premi qualsiasi pettegolezzo. Con loro, Le affinità elettive di Goethe non appartengono più solo al mondo della letteratura, ma anche a quello del cinema.
Sono gli anni della guerra e del Fellini sceneggiatore, ruolo che lo porta nel 1945 a lavorare prima con Rossellini e poi con Lattuada. Proprio con quest’ultimo esordisce agli inizi degli anni Cinquanta nella regia, il film è Luci del varietà. È già il Fellini autobiografico e graffiante sognatore. Se la prima regia in solitario con lo Sceicco bianco ottiene un tiepido riscontro di critica e pubblico, I vitelloni diventa subito un successo internazionale e ottiene il Leone d'Argento alla Mostra di Venezia. Da qui in poi, Fellini sembra trasformarsi in re Mida: ciò che tocca, o meglio gira, diventa oro. Come la statuetta conquistata con La strada nel 1954: il film racconta la storia di Gelsomina e Zampanò, ovvero gli ambigui rapporti di sottomissione, riconoscenza e affetto che legano alcune coppie. L’Oscar come “miglior film straniero” viene ritirato da Dino De Laurentiis, nello scontento generale degli americani che vogliono sul palco il nuovo genio italiano. Il bis a Hollywood arriva l’anno successivo, con le Notti di Cabiria, pellicola di cui è di nuovo protagonista Giulietta Masina. Il 1959 è l’anno del film scandalo La dolce vita che rivela i sogni proibiti degli italiani, ostentando una sensualità poco apprezzata dal Vaticano. Gli ambienti vicino alla Chiesa condannano la pellicola perché simbolo della caduta dei valori morali dell’epoca. Ma è di nuovo un successo strepitoso, che vale a Fellini la Palma d'oro a Cannes. E una sensualissima Anita Ekberg torna subito a turbare i sogni degli italiani e di Peppino De Filippo nelle Tentazioni del dottor Antonio, episodio di Boccaccio '70.
Il terzo Oscar come miglior film straniero arriva nel 1963 con 8½, dove Marcello Mastroianni interpreta un regista perso nel mondo dei ricordi e dei sogni. È un viaggio nella crisi dell’uomo contemporaneo, che di nuovo si smarrisce tra idee, paure, ricordi e sogni. Nel ’65 è la volta della prima pellicola a colori, Giulietta degli spiriti, che interpreta quelle stesse ossessioni in chiave femminile, questa volta raccontando la storia di una donna tradita. Fellini parla ancora della caduta dei costumi morali, trasferendo l’ambientazione licenziosa nella Roma di Nerone nel Fellini-Satyricon del 1969. È di nuovo tempo di Oscar come miglior film straniero per Amarcord, che porta i ricordi della sua Rimini direttamente sul red carpet di Hollywood.
Nel 1985 riceve il Leone d'Oro alla carriera alla Mostra di Venezia. Poi è la volta di E la nave va e di Ginger e Fred, pellicola interpretata da Mastroianni, suo alter ego davanti alla macchina da presa. L’ultimo film di Fellini si intitola La voce della luna ed è interpretato da Paolo Villaggio e Roberto Benigni. Nel 1993 gli viene attribuito il premio Oscar alla carriera. Pochi mesi dopo, muore a Roma. Il rapporto tra Fellini e il cinema è riassunto in queste parole del regista: “Passate le prime due settimane non sono più io che dirigo il film, è il film che dirige me. Niente di nuovo, è capitato anche a Geppetto. Stava ancora fabbricando il suo caro burattino quando Pinocchio lo prese a calci”.» [Enciclopedia Treccani]




























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